Per semplificare, quasi banalizzando, si può affermare che il VR va utilizzato quando serve.
Se si sta operando con tempi di scatto largamente “sicuri”, frazioni di millesimi di secondo, il VR non può portare a nessun beneficio tangibile, essendo ottimizzato per compensare frequenze di movimenti molto più lente, quelle che di solito interessano il lento movimento generato dalla mano del fotografo; senza contare che il VR riposiziona il gruppo ottico in asse prima dell’apertura dell’otturatore, generando così possibili problematiche di sincronia nel caso si operi con tempi molto veloci. Inoltre, abbiamo visto che il VR sempre attivo porterebbe a un aumento dei consumi di energia con conseguente riduzione dell’autonomia di scatto della fotocamera, in quanto opera attingendo l’energia dal corpo macchina.
Tralasciando gli effetti negativi sulla qualità, davvero insignificanti sul fronte della risoluzione, può essere più importante invece pensare agli effetti che genera nelle parti fuori fuoco, generando una qualità dello sfocato, il cosiddetto Bokeh, inferiore a quello ottenibile con il sistema disattivato. Si parla ovviamente, anche in questo caso, di finezze, apprezzabili solo con alcune ottiche e con un occhio allenato da lunga esperienza.
Un altro aspetto utile da sapere riguarda l’uso del VR in abbinamento al flash incorporato nella fotocamera. Dopo lo scatto, la fotocamera dà priorità alla ricarica del condensatore del flash, disattivando temporaneamente il VR; ciò non è da ritenersi un difetto ma una soluzione atta a rendere la fotocamera pronta allo scatto, con flash nuovamente carico, nel più breve tempo possibile. Ricordo, ancora una volta, che il sistema VR nulla può contro i movimenti del soggetto, e in questi casi, l’unica soluzione è utilizzare una sensibilità più elevata, un obiettivo più luminoso o, se possibile, aumentare la luminosità della scena.
Fonte: Nital - a cura di Valerio Pardi
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