martedì 30 novembre 2010

Produrre foto di qualità per la stampa tipografica

“TAGA.DOC.17 La fotografia digitale e le arti grafiche” è un documento realizzato da TAGA Italia per creare una base comune di dialogo tecnico fra produttori e utilizzatori di immagini digitali nel settore delle arti grafiche. Questo eXperience, ispirato dalle linee guida illustrate nel documento, descrive come applicarle per ottenere file rispondenti agli standard qualitativi.

A cura di Guido Bartoli su linee guida di Massimo Montersino – Consigliere TAGA Italia




TAGA Italia e lo scopo del documento
TAGA Italia è nata nel giugno 1983 ad opera di alcuni membri italiani di TAGA USA, unitamente ad altri professionisti nel settore delle arti grafiche, allo scopo di creare un gruppo di tecnici qualificati in settori diversi della comunicazione grafica per stimolare la ricerca, l'istruzione, la conoscenza e l'etica professionale.

Si basa sull'opera volontaria dei soci che condividono le proprie competenze per la diffusione delle conoscenze tecniche, la sede principale è a Milano ed esistono sedi territoriali.

L'associazione è aperta a chiunque voglia mantenersi aggiornato dal punto di vista tecnico e tecnologico, garantendo agli associati la possibilità di accedere ai documenti elaborati dai Comitati Tecnici dell'associazione. Inoltre vengono organizzati periodicamente incontri di formazione per presentare i risultati dei vari comitati.
Ciò che ha portato alla necessità di un simile documento è la profonda rivoluzione di questi ultimi dieci anni, che ha permesso a chiunque l'uso di un computer di potenza sufficiente per gestire immagini digitali a livello professionale. Da un settore fotografico diviso da quello della stampa, si è passati alla fotografia come primo anello della catena di produzione dello stampato, con il fotografo perfettamente inserito nel flusso di lavoro che prosegue con la fase di impaginazione, prestampa e stampa tipografica.
Ciò che purtroppo si è verificato è che la rapida evoluzione tecnica non è stata seguita da tutti gli operatori con la stessa velocità di acquisizione delle nozioni relative alla produzione di immagini di qualità, intesa come rispondenza a un capitolato tecnico, non estetico.
Una bella fotografia lavorata in modo non idoneo porta a una pessima stampa tipografica. Dal punto di vista del settore delle arti grafiche la fotografia non è tecnicamente fine a se stessa, come la foto artistica, ma è un semilavorato funzionale a un prodotto diverso: la sua riproduzione ad inchiostro su carta.

Lo scopo del documento è quello di fornire a chi produce e a chi utilizza le immagini digitali le basi teoriche e la procedura per produrre e gestire file strutturati correttamente per l'uso nel settore delle arti grafiche, cioè pronti per essere lavorati dalla macchina da stampa.
Il TAGA DOC. 17 parte da due presupposti di base:

•necessità di ridefinire con chiarezza le competenze
•diffondere la cultura tecnica per valutare, trattare, gestire correttamente le immagini digitali
Parte quindi dalla analisi del file fotografico per definire un capitolato tecnico idoneo, ribadisce la titolarità del fotografo come gestore della comunicazione iconica delle fotografie, definendo un confine fra gli aspetti comunicativi e quelli tecnici.
Aggiunge una serie di nozioni di base per la gestione del colore, identificando ciò che è competenza del fotografo e ciò che invece compete a un tecnico diverso (anche se il fotografo può acquisire queste altre competenze e decidere di offrire al proprio cliente un servizio più completo).
Definisce poi il concetto di “qualità in ingresso”, in modo che vengano accettate in lavorazione solo immagini che rispondano alle necessità della catena di produzione; considerando come trattare in modo particolare immagini irripetibili che non rispondono a questi parametri.
Ciò è particolarmente necessario per quei cicli produttivi dotati di sistemi automatici di correzione/conversione delle immagini.
Seguono le indicazioni per eseguire una correzione ad hoc, per valutare e gestire risoluzione e maschera di contrasto, eseguire una corretta softproof (prova a video), convertire e salvare i file, valutare il risultato finale, stampato o a video.


Il capitolato tecnico per la fotografia
Mentre il settore delle arti grafiche ha a disposizione un buon numero di norme ISO che guidano gli operatori durante il lavoro dalla prestampa alla stampa finale, la preparazione della fotografia non ha nulla di tutto ciò. Vi sono solo alcune norme ISO marginalmente collegate alla fotografia digitale, ma nulla circa la sua preparazione per uno specifico uso nelle arti grafiche. Non è, ad esempio, univocamente stabilito se i file debbano essere preparati, per un particolare processo di stampa, con relativo profilo colore, oppure strutturati per uno spazio colore generico.
Un capitolato tecnico è la base per una corretta collaborazione fra il fotografo, primo anello della catena, e il committente. Tenendo presente che la fotografia è determinante per la qualità del prodotto finito tanto quanto, se non di più, rispetto a ciò che viene a posteriori, perdere tempo ed energie a sistemare, magari con scarsi risultati, una foto mal gestita alla base è frustrante per gli operatori del settore, ma soprattutto è poco qualificante per il fotografo e per la sua professionalità.
Il capitolato deve permettere la libera espressione del messaggio e della comunicazione che il fotografo ha deciso per la sua immagine, ma deve permettergli di produrre un'opera che valorizzi il suo sforzo, grazie a caratteristiche ottimali per essere usata nell'industria che produrrà la sua riproduzione su carta, sia essa quella su un periodico o su un libro dalla stampa qualitativamente elevata. Ciò si può anche applicare, con le dovute variazioni, alla consegna di foto da utilizzare nel web.

Il concetto di capitolato non implica una norma di riferimento, come potrebbe essere per una norma ISO, ma un documento programmatico a cui attenersi nel lavoro, sia da parte del committente, sia da parte del fotografo. È quindi suscettibile di variazioni e modifiche, in base alle diverse esigenze, ma una volta concordato va rispettato.

Il TAGA doc. 17 riporta un esempio di capitolato, base di partenza per la creazione di un capitolato specifico da parte del fotografo o dell'utilizzatore.


Ripresa: primo importante anello della catena

Le scelte estetiche del fotografo si basano sulla sua sensibilità artistica e su una serie di parametri della fotocamera da regolare al momento dello scatto, di cui i principali sono:

•composizione: scelta dell'inquadratura, tecnica di illuminazione
•prospettiva: focale (grandangolare, lungo fuoco, PC), punto di ripresa
•esposizione, mosso, profondità di campo: tempo, diaframma
•tonalità cromatiche: WB, Picture Control, luce ambiente, flash, filtri
•dettaglio e rumore: sensibilità ISO, obiettivo (Defocus Control), nitidezza
Su queste scelte nulla deve avere da dire il committente, in quanto caratteristiche dello stile e dell'espressività propria del fotografo. Se questi concepisce un'immagine flou da eseguire con un'ottica DC, ciò non compete alla parte del capitolato sui dpi: sarà l'immagine a essere a fuoco morbido, in quanto così concepita; nulla a che vedere con un'immagine priva di dettaglio perché povera di pixel in rapporto all'ingrandimento richiesto in tipografia.

Quindi una cosa è controllare le impostazioni della propria fotocamera per avere la padronanza estetica della foto, un'altra è regolare i parametri che portano l'immagine ad essere in linea con il capitolato di cui sopra.
Questi parametri per il fotografo sono:

•matrice di pixel: risoluzione e formato FX o DX
•profondità colore: 12, 14 o lavorati a 16 bit
•spazio colore: sRGB, AdobeRGB o lavorati in spazi dedicati
•profilo colore: incorporato o meno
•formato del file: NEF (RAW), TIFF, JPEG
•compressione: bassa, media, alta (solo per il JPEG)
L'eccezione è costituita dalla ripresa in NEF (RAW), che obbliga a uno sviluppo a posteriori e che quindi permette un controllo in postproduzione dei parametri di cui sopra.

Quella che segue è una panoramica delle impostazioni a disposizione, con una serie di considerazioni alla luce di quanto richiesto dalla stampa tipografica.



Matrice di pixel


È la scelta primaria e più importante, in quanto ogni ricampionamento porta con se un rischio di perdita di qualità dell'immagine, dovuto alla sostituzione dei pixel originali con quelli ottenuti dal ricalcolo dall'algoritmo di campionamento.
Scattare in FX o in DX non è di per se indice di maggiore o minore qualità. Il numero di pixel è stabilito dal sensore, con l'unica variante che le fotocamere FX permettono anche la ripresa in DX, sfruttando una matrice parziale al centro del sensore.

Il capitolato potrà richiedere un valore in pixel del tipo, ad esempio: 2500x4000 pixel. Quindi 10 megapixel totali.
Non hanno senso richieste del tipo: “dammi un'immagine da 30 mega”. Richieste così sono da rifiutare o meglio da usare per costringere il committente ad una maggiore precisione, in quanto assolutamente imprecise tecnicamente, non rappresentative di un capitolato serio e solamente indicative della scarsa professionalità del committente. Purtroppo questa è stata ed è ancora in alcuni casi la realtà.
Vediamo perché con un esempio.

Partiamo dal caso di un fotografo che utilizzi una Nikon D700, che ha un sensore da 12 megapixel, il cui file TIFF pesa in RGB a 8 bit (1 byte):
12 megapixel x 1 byte x 3 canali (RGB) = 36 megabyte

Quindi, per soddisfare la richiesta del committente, il file in oggetto dovrebbe essere modificato riducendo la matrice di pixel:

•attraverso un taglio dell'inquadratura, che però modificherebbe l'immagine
•oppure ricampionandolo in downsampling, cioè togliendo pixel, cosa che non altera l'estetica dell'immagine ma modifica la struttura del file togliendo dei pixel mediante interpolazione.

Infatti se dividiamo i megabyte richiesti per i canali (sempre a 8 bit) otteniamo:
30 MB / 3 canali (a 8 bit, cioè 1 byte) = 10 megapixel
Se invece il committente da' per scontato che il file debba essere in CMYK, si dovrà convertire il TIFF da RGB (3 canali) a CMYK (4 canali); quindi il peso del file diventa:
12 megapixel x 8 bit x 4 canali (RGB) = 48 megabyte
Con una necessaria maggiore riduzione delle dimensioni della matrice di pixel:
30 MB / 4 canali (a 8 bit, cioè 1 byte) = 7,5 megapixel

Quindi sia il fotografo che il suo committente, agenzia o stampatore che sia, dovranno formulare meglio la richiesta o l'offerta, possibilmente attenendosi a quelli che sono gli standard di risoluzione tipografica.
La richiesta corretta da parte del committente dovrebbe, ad esempio, essere:

•serve un'immagine da stampare a 300 pixel per pollice (300 pixel/inch, cioè 118,11 pixel/cm) con dimensioni 21x29,7 cm
•ne risulta un'immagine da 24,9 MB, prodotto di 2480x3508 pixel a 8 bit in RGB.
Certo si devono fare un po' di calcoli, oppure sfruttare il menu di Photoshop™ Dimensione immagine o File/nuovo.
Ovviamente ci sono sempre delle approssimazioni, quindi una richiesta (oppure offerta di immagini da parte del fotografo) espressa correttamente sarà:

immagine da 2500x3600 pixel in RGB a 8bit
oppure:
immagine da 2500x3600 pixel in CMYK a 8bit

Ciò lascia un minimo margine, in quanto queste specifiche portano (stampando a 300 pixel/inch) a un'immagine da 8,33x12 pollici, cioè 21,17x30,48 cm.
In totale serve quindi una matrice di 9 megapixel.
Il file avrà un peso diverso a seconda della sua caratteristica:

RGB: 9 megapixel x 3 = 27 megabyte
CMYK: 9 megapixel x 4 = 36 megabyte

Ecco dove leggere in ViewNX2 e in Capture NX2 le informazioni relative alla matrice di pixel usata,
al formato del sensore e allo spazio colore dell'immagine.
In Capture NX2 la finestra regolazioni si apre dal menu Modifica con Dimensione/risoluzione.



Ecco dove leggere in ViewNX2 e in Capture NX2 le informazioni relative alla matrice di pixel usata, al formato del sensore e allo spazio colore dell'immagine.
In Capture NX2 la finestra regolazioni si apre dal menu Modifica con Dimensione/risoluzione.

Ecco come utilizzare il menu di Adobe Photoshop™ per verificare la dimensione di stampa:

•agire su File/Nuovo come se si volesse impostare un nuovo documento
•selezionare il formato (ad es. A4)
•selezionare la risoluzione (ad es. 300 dpi)
•leggere in mm o in pixel i valori corrispondenti
In basso a destra il software fornisce anche la dimensione in MB del file risultante.
È anche possibile specificare delle dimensioni personalizzate, per la stampa di immagini
le cui proporzioni non coincidono con quelle standard.


Esaminiamo come esempio le impostazioni del menu della D700.
La fotocamera permette le seguenti specifiche di scatto (come da libretto di istruzioni):


Dalle specifiche della Nikon D700 si vede che permette di utilizzare anche il formato di ripresa DX,
oltre a quello FX nativo del sensore.
Solo la scelta L (large) sfrutta tutti i pixel del sensore FX, nel formato DX vengono fisicamente esclusi dalla
lettura i pixel esterni all'area, mentre negli altri casi la fotocamera compie una selezione dell'area dell'immagine.
L'opzione DX è inserita per permettere di sfruttare anche con la D700 ottiche studiate
per le reflex in formato DX, caratterizzate da un cerchio di copertura dell'immagine minore.

Esempi delle schermate menu Nikon D7000 circa dimensione immagine, qualità e compressione,
e profondità colore disponibile su file RAW/NEF.

Come si vede dai riferimenti delle matrici sopra descritte per Nikon D700 e Nikon D7000 sono sovrabbondanti per un A4 secondo le specifiche richieste. Quindi, stabilito che il committente necessita di un file A4 a 300 pixel/inch, sarà cura del fotografo calcolare in ripresa un margine corretto da lasciare ai bordi dell'inquadratura per escludere i 3 megapixel di troppo della D700 rispetto alle richieste del committente.
Nessun problema vi sarà poi nel rispettare l'eventuale richiesta di conversione in CMYK, cosa che non modificherà la matrice di pixel ma solo il peso del file, per l'aggiunta di un canale per ogni pixel.

Scattando in NEF (RAW) viene disattivata automaticamente la possibilità di scelta della Dimensione immagine, visto che questo formato raccoglie tutti i dati forniti dal sensore.
Durante la fase di sviluppo si sceglieranno i valori adatti.


Calcolo dei pixel necessari per coprire il formato di stampa

La stampa a getto di inchiostro di un'immagine digitale è molto diversa dalla sua trasposizione in una stampa tipografica.
Nel primo caso la testina della stampante dispone una serie di gocce di inchiostro sulla carta secondo uno schema non regolare, che prevede anche la sovrapposizione di queste gocce per creare sfumature diverse.

I retini tipografici hanno una struttura diversa, rispetto alla stampa a getto di inchiostro, e appartengono a due grandi tipologie:

•tradizionale: prevede da quattro a sei passaggi della carta sotto i rulli che portano la matrice inchiostrata; la struttura del retino è geometrica e dispone una serie di punti allineati, per ogni lastra, da cui la classificazione in linee/cm o linee/pollice
•stocastico: varia la frequenza del punto e quindi richiede un calcolo diverso, normalmente è sufficiente una risoluzione di immagine inferiore del 20% rispetto a un retino tradizionale.

Ecco un esempio dei 4 retini per la
stampa offset in CMYK e delle inclinazioni.
Fonte: sitographics



Prendiamo qui in considerazione i valori necessari per una stampa tipografica eseguita con i retini tradizionali, i più utilizzati.
Poiché a distanze elevate l'occhio umano non è in grado di distinguere i particolari fini, si può usare una grandezza elevata dei punti e una frequenza bassa di retino, che si traduce in una bassa risoluzione di pixel per pollice.

Per calcolare la risoluzione ottimale in pixel dell'immagine, si usa la seguente formula (le tabelle pubblicate di seguito permettono di calcolare i valori senza applicare la formula):

linee/pollice x 2 = pixel/pollice
dove:
linee/pollice = linee/cm x 2,54

Ad esempio:
retino da 60 linee/cm = 60 x 2,54 = 152,4 linee/pollice
152,4 linee/pollice x 2 = 304,8 pixel/pollice
che si approssima a 300 pixel/pollice

Questo è il valore che più si sente citare come standard per la stampa tipografica, ma non è affatto un dato assoluto. Con retini di maggiore densità, utilizzati per pubblicazioni di maggior pregio, sono necessarie risoluzioni più elevate.
Quindi se il fotografo dovesse rispettare queste richieste nel capitolato, dovrebbe aumentare la matrice di pixel. Mantenendola infatti inalterata si avrebbe una riduzione della dimensione di stampa, dovuta a una maggiore densità di pixel.

Passando da un retino a 60 linee/cm a uno da 120 linee/cm serviranno il doppio dei pixel in entrambe le direzioni, quindi o si quadruplicano i pixel totali della matrice del sensore, oppure si riduce a 1/4 la dimensione di stampa (attenzione, a 1/4 NON di 1/4!)
Per un A4 si passa da 2480 x 3508 = 8,7 megapixel a 4961 x 7016 = 34,8 megapixel

Viceversa possiamo usare le tabelle o la formula per calcolare l'ingrandimento massimo ottenibile con un dato sensore:

(numero pixel / dpi) x 2,54 = dimensione lineare (cm)
(6048 pixel / 300 dpi) x 2,54 = 20,16 pollici x 2,54 = 51,2 cm

Ad esempio (con minime approssimazioni):


TABELLA PER DETERMINARE IL NUMERO DI PIXEL PER STAMPARE TIPOGRAFICAMENTE IN UN DATO FORMATO CON UN DATO RETINO

Nella colonna a sinistra il formato di stampa secondo le convenzioni Europee, nella seconda le dimensioni di larghezza e altezza in centimetri e pollici, nelle altre quattro colonne successive le matrici di pixel per retini a 30 - 60 - 70 e 120 linee x centimetro.
All'incrocio delle linee/colonne si leggono i due valori della matrice di pixel necessaria.


I valori delle tabelle precedenti sembrano riduttivi rispetto alla esperienza che il fotografo ha della stampa a getto di inchiostro. Questa, grazie alla diversa dimensione e tecnologia di stesura delle gocce di inchiostro, permette di ridurre il numero di pixel/pollice all'aumentare della distanza di visione.
Gli ingrandimenti ottenibili con le reflex Nikon aumentano quindi molto stampando a getto di inchiostro, rispetto alla stampa offset.



Profondità colore
Determina la qualità nella riproduzione delle sfumature e, come effetto collaterale collegato, la qualità dei dettagli nelle ombre.
Per schematizzare:
Il numero di pixel è determinato dall'area utile del sensore, per esempio 12,1 milioni di pixel effettivi per la D700.
Il numero di colori visualizzabili è invece variabile a seconda della regolazione della fotocamera. La D700 permette di impostare un output basato su un NEF a 12 o 14 bit/colore. Per default la macchina parte con l'impostazione a 12 bit/colore, che può essere modificata agendo sul menu delle impostazioni di scatto.

Esempi delle schermate menu Nikon D7000 circa dimensione immagine, qualità e compressione,
e profondità colore disponibile su file RAW/NEF.

La differenza sembra poco importante fino a che non si considera che questi valori sono esponenziali.
Il computer lavora in linguaggio binario, cioè usa solo 0 e I per eseguire i suoi calcoli.
Divide le informazioni della quantità di luce che raggiunge il singolo fotodiodo del sensore (pixel) in livelli, secondo una scala che deriva dalle potenze di 2:


Scattando in JPEG, che offre un output a 8 bit/colore, si disporrà di circa 16,8 milioni di colori fra cui scegliere. Mentre 12 bit/colore vogliono dire poter scegliere fra 2^12 colori, poco più di 68,7 miliardi di colori possibili; elevando la conversione analogico/digitale a 14 bit/colore le sfumature possibili ammontano a 2^14 colori possibili, cioè quasi 4400 miliardi! Ovviamente i pixel di un'immagine sono in numero molto inferiore, ma ciò che conta è poter disporre di una ampia pallette di scelta.

Il vantaggio di utilizzare il NEF a 14 bit/colore per i propri file è duplice:

•grande aumento della precisione di riproduzione dei colori e delle sfumature (rispetto agli 8 bit/colore del JPEG, ma anche rispetto ai 12 bit/colore)
•possibilità di sfruttare in futuro l'aumento della qualità di stampa.
Come nei recenti dieci anni di evoluzione abbiamo visto un grande miglioramento, dovuto all'introduzione di più inchiostri nelle stampanti inkjet, così è probabile che in futuro si abbia la possibilità di stampare colori ora non riproducibili.

Alla fine del procedimento di sviluppo del NEF, in ogni caso, il numero di colori massimo possibile presente nel file è dato dal numero di pixel, quindi per la D700 di cui sopra sempre un massimo di 12,1 milioni (nell'ipotesi limite che ogni pixel abbia un colore diverso).
Più colori gestibili significano quindi maggiore qualità di immagine, intesa come fedeltà cromatica, ma pure maggiore possibilità di definizione quando piccole variazioni di colore disegnano i contorni di un soggetto. È quest'ultimo il caso ad esempio di una sottile tramatura superficiale, come quella di un trina, oppure dei capelli.

L'obiezione di molti secondo cui è inutile scattare a più di 8 bit/colore in quanto il procedimento offset usa immagini a 8 bit/colore è infondata.
Facciamo un esempio pratico: la ripresa di un soggetto che abbia un'ampia palette di colori molto estesa dalle zone di luce alle ombre, in grado di sfruttare tutto lo spazio colore della fotocamera.
Poiché il digitale per definizione non può rappresentare le sfumature se non come insieme di singole tacche di colore uniforme (per quante siano vi sarà sempre soluzione di continuità), più colori si possono rappresentare e meglio si possono riprodurre le sfumature, che sono come ogni fotografo sa, parte determinate per la qualità di immagine.


Il gamut è l'area entro la quale vengono rappresentati i colori gestibili dalla periferica.
Una sfumatura di colore viene gestita come una serie di tacche di colore diverse che, nel caso di immagini
a 8 o più bit/colore, sono molto vicine fra loro. I colori non puri si trovano nell'area del gamut,
al di fuori della linea che unisce il punto di bianco con uno dei colori puri e saturi.
Aumentando l'area del gamut, come avviene quando si usa uno spazio di colore più ampio, la distanza fra
i componenti della sfumatura aumenta, come pure quella fra i colori non puri riproducibili. Più bit/colore si hanno a disposizione e più è possibile ridurre al distanza fra i colori disponibili, “riempiendo” quindi il gamut.



Sviluppo del RAW e gestione del colore

Il file RAW non è un prodotto finito. Giova ricordarlo poiché troppo spesso i fotografi lo dimenticano e consegnano ai clienti un lavoro solo abbozzato. È come se un'azienda automobilistica consegnasse agli acquirenti auto parzialmente montate, da rifinire nel proprio box di casa.
Per un lavoro in cui la qualità di immagine è determinante il formato di ripresa più indicato è il RAW (NEF), in quanto offre ampie possibilità di personalizzazione dello sviluppo.
Nulla deve essere inserito in un capitolato circa la gestione creativa dell'immagine, quella che si ottiene facendo ampio uso di funzioni come i Picture Control, i Punti di Controllo Colore, le regolazioni di saturazione e contrasto, il D-Lighting, le correzioni localizzate.
Questi parametri sono appannaggio del fotografo che decide in base al suo gusto personale l'aspetto dell'immagine, tanto quanto la luce, l'inquadratura, la focale o l'uso di un effetto come il mosso.
Tuttavia per controllare il processo creativo al meglio il fotografo deve avere piena padronanza dei concetti relativi alla gestione del colore: scelta dello spazio colore in cui aprire il file, eventuale applicazione di un profilo colore ad hoc.
Una volta che l'immagine ha acquisito il suo aspetto definitivo e che appare corretta sul monitor (calibrato!), è il momento di pensare alla gestione del colore in vista dell'output.

Le scelte da operare per avere la sicurezza di porsi in modo corretto come primo anello della catena di produzione digitale sono:

•scelta dello spazio colore in cui aprire il file NEF (RAW), in funzione dell'uso successivo (stampa o WEB)
•eventuale applicazione di un profilo personalizzato per la fotocamera, eseguito nelle stesse condizioni di luce delle riprese in oggetto
•gestione del profilo di output per la prova a video
•gestione del profilo per la stampante in caso di stampa definitiva a getto di inchiostro
•eventuale conversione verso il profilo di stampa offset CMYK

In ogni caso la regola fondamentale, ineludibile, della fotografia digitale è:
ogni foto DEVE avere applicato un profilo o uno spazio colore.
NON è possibile consegnare un file privo di questa caratteristica fondamentale, in quanto i colori dei soggetti verrebbero gestiti in modo assolutamente impreciso, non essendovi cognizione della corrispondenza dei numeri relativi all'inchiostratura con il tipo di periferica che deve utilizzarli.

I software View NX2 e Capture NX2 di Nikon hanno un motore di gestione del colore in linea con le esigenze della postproduzione.
Nelle preferenze dei programmi si può scegliere il profilo/spazio colore di default in cui aprire i file NEF (RAW), optando per utilizzare quello indicato nei metadati, oppure uno di quelli a disposizione nel sistema operativo. Nei metadati la fotocamera memorizza sempre le impostazioni di scatto anche per il colore, che sono usate per i JPEG e che possono diventare la scelta per lo sviluppo del NEF.
View NX2 è concepito come un gestore di file di primo uso, quindi permette modifiche alle immagini, archiviazione, selezione, ma non ha una gestione colore avanzata come Capture NX2. Quest'ultimo offre la possibilità di applicare un profilo oppure di convertire in un diverso profilo, come pure di effettuare delle prove colore.
La trattazione di questi temi va molto oltre il significato di questo eXperience, ecco un breve riassunto dei comandi a disposizione nei software Nikon:
Ecco la schermata delle Preferenze / Gestione Colore di View NX2 e Capture NX2,
che permettono di impostare i parametri di default relativi a:

•spazio colore predefinito in cui aprire il file (quello scelto al momento dello scatto
e valido per il JPEG o un altro a disposizione del sistema operativo)
•profilo separazione CMYK per la stampa offset (solo Capture NX2)
•profilo per la stampa diretta a getto di inchiostro
•intento di rendering
•profilo monitor







Capture NX2 ha un motore di gestione del colore che permette di ottenere risultati professionali senza ricorrere a software di fotoritocco. Il menu Regola / Profilo colore introduce una finestra di regolazione che permette di applicare un profilo al file, oppure di convertire il file in uno degli spazi/profili colore presenti nel sistema operativo.






Nella finestra di modifica dell'immagine di Capture NX2 si vede in basso a sinistra il profilo colore applicato all'immagine e se è attivata la funzione di prova colori a video (softproof).

Agendo sulla freccia si apre una finestra in cui attivare la prova colore, indicando il profilo di riferimento e l'intento di
rendering.

Per un approfondimento di questi temi rimandiamo agli eXperience già pubblicati sulla gestione del NEF (RAW) dallo scatto alla stampa:
- Gestione colore e Nikon Capture NX, a cura di Guido Bartoli
- Sviluppo RAW/NEF e conversione colore con Capture NX, a cura di Guido Bartoli
- Profili Adobe Camera Raw per Nikon, a cura di Massimo Novi
- Impiego di Spazi Colore estesi in Nikon ViewNX, Capture NX2 e stampa Inkjet, a cura di Guido Bartoli

Sulla gestione della stampa:
- Garantire la coerenza dei colori delle stampe, a cura di Mauro Fratus

Sulla teoria del colore:
- Dagli Spettri di Luce al Tristimolo, a cura di Marcello Melis



La maschera di contrasto e la risoluzione

La maschera di contrasto migliora la sensazione di nitidezza dell'immagine digitale, in quanto lavora sul microcontrasto, termine utilizzato fin dall'inizio della fotografia analogica. Si definisce così il contrasto più o meno elevato di un passaggio fra due tonalità diverse, di grigio o di colore.
Nella pratica si manifesta come una transizione più o meno netta al bordo di un particolare dell'immagine. Riproduce digitalmente l'effetto di bordo che si ottiene con i rivelatori ad alta acutanza, i quali sfruttano un fenomeno chimico in fase di sviluppo per accentuare il passaggio fra due tonalità di grigio.

L'effetto della maschera di contrasto è ben visualizzato nell'eXperience Migliore nitidezza con la maschera di contrasto,
a cura di Massimo Novi. Come si vede applicandola a una transizione tra due grigi la parte scura viene esaltata,
mentre quella chiara al bordo viene schiarita. L'effetto complessivo è un aumento di nitidezza, a patto di non esagerare.

L'applicazione della maschera di contrasto si può eseguire in due momenti diversi del flusso di lavoro: nella fase di sviluppo del file NEF (RAW), oppure sul file definitivo JPEG o TIFF.
Ovviamente applicarla all'inizio del procedimento, a livello di NEF (RAW), permette i migliori risultati, in quanto si opera sui valori direttamente derivati dalle informazioni del sensore. La sua applicazione nel file definitivo produce risultati inferiori.
Tuttavia non è il caso di applicare maschere troppo forti all'inizio, in quanto ciò che per il fotografo visivamente è gradevole può rivelarsi un problema per la lavorazione successiva.
La maschera ideale è determinata da una serie di fattori, quali:

•tipologia dell'immagine
•eventuale ingrandimento o riduzione in fase di impaginazione
•tecnologia di stampa
•supporto di stampa
Una buona regola è quella di applicare una maschera iniziale parziale a livello di NEF (RAW), lasciando ai professionisti della prestampa il compito di ottimizzare l'immagine finale magari anche attraverso software specializzati come Dfine® 2.0 di Nik Software.
Il fotografo deve mettere in conto anche l'eventuale richiesta del committente circa la fornitura di immagini senza maschera.

Ecco dove agire in VIEW NX2 e CAPTURE NX2 per regolare la maschera di contrasto.
Come si vede VIEW NX2 permette una regolazione tramite slider, mentre CAPTURE NX2 dispone
di una vera e propria funzione di controllo completa, sotto il menu Regola/Nitidezza/Maschera di Contrasto.

Ecco la differenza fra un'immagine priva di maschera di contrasto, una con l'applicazione
di un valore moderato (30% 5% 0) e con un valore eccessivo (100% 10% 0).
A prima vista la terza immagina appare molto nitida, ma un ingrandimento al 300%, come quello qui visualizzato,
mette in luce la distruzione delle transizioni tonali, che si ripercuotono in modo irreparabile in stampa.



La perdita di qualità con la compressione JPEG

Ecco una serie di immagini che riassumono la perdita di qualità del JPEG, utilizzando una mira di riferimento creata in Adobe Photoshop™.
Il flusso di lavoro è stato il seguente:

•la mira è stata memorizzata in JPEG qualità 12 utilizzando Adobe Photoshop™
•il file ottenuto è stato convertito in diversi file a diversi livelli di compressione: 10, 5, 0
•i rispettivi file sono stati aperti e salvati nuovamente (Salva o Salva con nome ...) per 15 volte ognuno, in modo da applicare successivamente l'algoritmo di compressione
•il procedimento è stato ripetuto per 15 volte per ogni immagine di diverso livello di compressione JPEG, in modo da ottenere risultati molto visibili.
In generale dopo il quinto passaggio di applicazione dell'algoritmo si vedono i primi decadimenti della qualità di immagine, mentre verso l'ottavo passaggio si notano in modo molto più pronunciato.
Va anche detto che il file di partenza è un file costruito a tavolino utilizzando la funzione sfumatura di Adobe Photoshop™. Partendo da immagini scattate in JPEG è possibile notare decadimenti della qualità maggiori o dopo meno passaggi attraverso l'algoritmo di compressione.
Come si può vedere il degrado di qualità si manifesta maggiormente in corrispondenza delle sfumature chiare e scure.

In ognuna delle seguenti immagini la comparazione è fra:
JPEG di riferimento qualità 12 al 100%               JPEG salvato 15 volte qualità 10 al 100%
JPEG salvato 15 volte qualità 5 al 100%             JPEG salvato 15 volte qualità 0 al 100%








Conclusioni


Solo seguendo un metodo di lavoro correttamente strutturato si possono ottenere risultati compatibili fra loro in diversi ambienti di lavoro.
Questo è di fatto il caso della fotografia digitale, dove diversi stadi di lavorazione vengono effettuati da operatori diversi e in luoghi diversi: ripresa, postproduzione, impaginazione, prestampa, stampa quasi mai condividono le stesse metodologie di valutazione
Anche se difficile da accettare il fotografo deve comprendere che il proprio lavoro, quando inserito in flusso di lavoro, sarà considerato un semi-lavorato che, necessariamente, dovrà essere rilavorato per giungere ad un risultato finale accettabile e corretto.
Il TAGA doc. 17 si propone come “vademecum” per migliorare la comprensione fra i vari attori per ottenere il miglior risultato con tempi e costi corretti. Il documento TAGA doc. 17 si può scaricare dal sito www.taga.it nella sezione di download riservata agli associati.



Fonte: Nital.it

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