Intervista a Franco Barbagallo
Introduzione e intervista di Dino del Vescovo
Legge molto e scrive anche di più. Entrambe le passioni di Franco Barbagallo, docente del workshop Il “mestiere” nel reportage geografico che si terrà a Catania nel mese di dicembre, non esulano però dalla fotografia.
Uno dei suoi ultimi lavori, un romanzo ambientato nelle Isole Eolie, dal titolo Il proiettile di Cristallo, vede come protagonisti, manco a farlo apposta, un fotografo e un'archeologa subacquea americana coinvolti nella misteriosa morte del direttore della Sovraintendenza di Lipari.
Impegnato nel reportage naturalistico dal 1983, l'esperto fotografo siculo-milanese – così ama definirsi date le sue origini siciliane -, ha girato il mondo in compagnia delle sua attrezzatura fotografica ritraendo la natura in ogni forma e manifestazione.
Collaboratore storico di Airone e autore di diverse guide turistiche per De Agostini e Touring Club, può oggi contare su un'esperienza trentennale, quanto basta per introdurre i suoi allievi ai temi e alle problematiche del reportage geografico.
Promette di affrontare, durante i due giorni di corso, argomenti assolutamente originali, che riguardano soprattutto il mestiere e l'organizzazione del fotografo di reportage, ancor prima di trattare le tecniche di ripresa e la composizione dell'inquadratura.
Ama il cinema, il teatro e la buona musica, dall'opera classica allo stile newage. E si definisce, dulcis in fundo, un ottimo cuoco, tanto da ambire più in là nel tempo a diventare un food journalist.
Le opportunità offerte dal suo lavoro, di visitare i quattro angoli del mondo, lo hanno portato a conoscere cultura e tradizioni dei diversi popoli, comprese le abitudini a tavola. Ovviamente ha un occhio di riguardo per la cucina italiana che, a ragion veduta, definisce la migliore in assoluto. Al secondo posto le cucine francese e vietnamita.
La sua indole da esploratore, mai domo, fa sì che ami la natura e apprezzi le cose semplici. Alle macchine lussuose, preferisce un semplice fuoristrada che gli consenta di arrivare ovunque si trovino i suoi “obiettivi fotografici”. Si sposta a bordo di un furgoncino Renault Express 4x4 e definisce il mestiere del fotografo «un mestiere dell'essere e non dell'avere».
Ciao Franco, cosa ti ha spinto ad accettare l'incarico di docente Nikon School? Credi che questa esperienza possa giovare anche a te?
Durante la mia attività ho ricevuto insegnamenti molto importanti ed oggi, con 30 anni di esperienza sulle spalle, sento la necessità di mettere a disposizione degli altri le mie conoscenze. Ho ricevuto e quindi adesso voglio dare.
Considera che svolgo l'attività di fotografo a tempo pieno dal 1983 e mi sono sempre occupato di reportage geografico.
Malgrado tutto, so bene di poter ancora imparare. Il workshop che terrò per il progetto Nikon School mi sarà utile anche da questo punto di vista. In questo mestiere non si arriva mai, non si finisce mai di imparare.
Fare reportage geografico non è affatto facile, anche perché significa avere rapporti con il mondo dell'editoria, con le PA, con gli enti privati, etc. Quale consiglio daresti a chi inizia?
Concordo, non è facile fare oggi questo mestiere ed è per questo che a chiunque voglia intraprenderlo direi di pensarci bene (sorride, ndg). È importante sentirlo dentro, provare una forte determinazione, credere molto in sé stessi.
Oggi, un fotografo che si occupi a tutto tondo di reportage geografico deve essere pronto alla gavetta e alle difficoltà che possono subito presentarsi. Con ciò però non voglio scoraggiare nessuno, anzi...
Lavorare oggi con i giornali è diverso da come era una volta. L'editoria cartacea, si sa, è in forte crisi. A cosa pensi sia dovuto?
Credo che buona parte del discorso vada incentrato sulla pubblicità, sempre più fagocitata dal mondo televisivo a scapito di quello editoriale. Il duopolio tra Rai e Mediaset inoltre non aiuta. Poi c'è la questione di Internet che spinge la gente a informarsi gratuitamente leggendo su un monitor e a comperare meno riviste. Ritengo, tuttavia, che se queste fossero fatte bene come lo erano una volta, una buona parte dei lettori continuerebbe a preferire la carta stampata al digitale.
Vedi... è il cane che si morde la coda: le riviste sono oggi scadenti perché i mezzi economici necessari a realizzarle scarseggiano.
Ci sono però delle eccezioni che confermano la regola, ovvero giornali che perno la bravura dei loro direttori, riescono ancora a catalizzare l'attenzione della gente. Il National Geographic Italia, per esempio, ha ancora un buon numero di lettori e abbonati. I libri fotografici, ancora, se sono fatti veramente bene, vendono.
La diffusione del digitale porta un numero sempre maggiore di appassionati a realizzare buoni scatti, in ambito di reportage geografico, naturalistico e di viaggio. Come si rapporta con questa realtà un professionista che fa della fotografia la sua attività primaria?
Tutto ciò è vero ma fino a un certo punto. Di sicuro effettuare oggi scatti di qualità è più facile rispetto a un tempo: il digitale è più semplice da gestire se messo a confronto con la pellicola.
Però in un buon reportage geografico, conta sia la qualità delle immagini, sia il contenuto.
E quest'ultimo non dipende dalla macchina fotografica, ma dalla capacità espressiva del fotografo, quindi dalla sua sensibilità, dalla composizione.
Le capacità di raccontare una storia per immagini, di scegliere con cura i soggetti e i momenti, prescindono dalla tecnologia. È solo abilità del fotografo. Ed è su questo aspetto che baseremo il workshop Nikon School.
C'è poi da dire che le commissioni delle riviste – ti cito per esempio Panorama Travel - riguardano sempre un set di immagini legate le une alle altre. Non è possibile creare uno storyboard pescando immagini singole dalla Rete.
Né va trascurata la questione tempo: un professionista del reportage geografico è capace di svolgere il proprio lavoro in un tot di giorni prestabilito, un dilettante no. Sarebbe troppo facile tornare nello stesso posto diverse volte fino a ottenere i risultati desiderati.
Spesso si hanno quattro giorni a disposizione per scattare 30 fotografie e coprire 20 pagine di rivista. Queste devono rispettare alla perfezione il taglio editoriale e l'idea del committente, sviluppando temi del tipo: panorami, shopping, mercati, alberghi, food da strada, etc. Tutto ciò richiede un mestiere che solo il professionista detiene.
Tu hai visitato moltissimi posti, girando il mondo in lungo e in largo. Ce n'è uno che più degli altri ti ha emozionato, anche in termini fotografici?
Ce ne sono diversi. Tre su tutti: le Galapagos, l'Australia e la penisola russa di Kamčatka. Ti spiego anche perché.
Le Galapagos ti permettono di avere un rapporto con gli animali da “paradiso terrestre”. Non essendo abituati alla presenza umana, non temono gli uomini. Ti può capitare di stenderti in spiaggia e prendere il sole accanto a dei leoni marini che ti guardano in tutta tranquillità, come se fossero altri bagnanti o se tu fossi uno di loro.
L'Australia perché... beh, mi piace moltissimo. È il posto dove, se avessi potuto, mi sarei trasferito a vivere. Ci sono luoghi che non ti stanchi mai di vedere, bellissimi da sorvolare in elicottero, vedi il Kimberley, un ambiente primordiale che mi ricorda Giurassic Park. Ma anche altre zone come lo stato Victoria, il Queensland, etc. E poi, non di meno, gli australiani sono simpaticissimi.
La penisola di Kamčatka merita un discorso a parte. Puoi sorvolarla per ore in un lungo e il largo senza intravedere alcuna traccia umana. È davvero il posto più selvaggio e incontaminato al mondo. Tanto basta per renderla unica e straordinaria.
E uno in cui non ci torneresti?
Bella domanda, sai che nessuno me l'aveva mai posta fino a questo momento? Qualche posto sicuramente mi ha deluso, ma se dovessi farti il nome di un luogo che mi ha lasciato un pessimo ricordo, allora non saprei.
Esistono allievi più predisposti a questo genere di attività fotografica e altri meno inclini? Il reportage di viaggio e naturalistico, comporta di essere lontani da casa, di lavorare talvolta in situazioni di disagio...
Assolutamente sì, il reportage geografico non è per tutti. La tecnica è l'ultimo dei problemi. Chi intraprende questo percorso deve essere in grado di adattarsi a qualsiasi situazione, anche alla più scomoda. È un mestiere che non ha orari, comodità, compromessi. Se necessario, si dorme anche in piena luce e a qualsiasi ora. Quando per esempio si fotografano le albe o si è passata la notte in bianco, non resta che dormire durante i trasferimenti diurni in fuoristrada.
Io, durante un lavoro svolto nello Yucon, in Canada, ho dormito anche a cavallo, per un'ora circa. Non ci crederai ma è così!
Per non parlare del cibo: in molti paesi ci si deve dimenticare le buona maniere e le lasagne della mamma, mostrando adattabilità alla cucina locale. Meglio quindi evitare se si è deboli di stomaco. C'è inoltre il disagio climatico, insomma un po' di tutto.
Perché, per l'editing dei tuoi scatti, hai scelto il software Nikon Capture NX2?
Il Capture NX2 è semplice da usare, immediato, ma al tempo stesso potente. Mi permette di fare tutto quello che voglio. La tecnica U-Point è spettacolare, per non parlare del D-Lighting, straordinario per schiarire le ombre.
Già alla prima lettura dei tuoi bellissimi album fotografici, si intravede la grande esperienza che hai maturato nel tuo settore, avendo fotografato tutta la natura, animata e non. Che "ruolo" ha la pazienza nella fotografia naturalistica? Hai qualche aneddoto da raccontarmi in merito?
La pazienza ha un ruolo fondamentale nel mestiere del reportage geografico. Capita di aspettare per ore, rimanendo immobili, anche di notte, senza ottenere nulla. Quando si fotografano gli animali selvaggi, sei tu che devi aspettare loro e talvolta sperare di incontrarli.
È importante saper stare da soli, senza far nulla, quindi la capacità di tenersi la mente impegnata in qualche strano ragionamento, in qualcosa che ti permetta di ingannare il tempo.
In Kenya, nella riserva Samburu, per esempio, mi è capitato di fotografare i ghepardi e i leopardi senza alcuna perdita di tempo, mentre ho letteralmente penato per i leoni. Erano praticamente introvabili. Dopo aver girato per quattro ore alla ricerca delle loro tracce, li abbiamo trovati distesi sotto un albero dove sono rimasti immobili per altre quattro ore. In quelle condizioni fai ben poche fotografie. Bene, quando si sono alzati abbiamo iniziato a scattare, ma per la tarda ora abbiamo dovuto immediatamente fare ritorno e rinviare tutto all'indomani. Nelle riserve naturali africane esistono regole molto rigorose a riguardo.
C'è un settore della fotografia nel quale non ami cimentarti? Per il quale, cioè, non ti senti “portato”?
Sì, per tutto quello che non è reportage geografico. Non riuscirei mai a fare nudo, ritratti, fotografia in studio in generale. Ho bisogno di stare in ambienti aperti, di muovermi continuamente, di essere a contatto con la natura. Mi è capitato di partecipare a un workshop in cui si fotografavano automobili. L'ho trovato molto noioso. In certi contesti si guadagna di più, ma a me non interessa: quello del fotografo è un lavoro dell'essere e non dell'avere.
Da quanto tempo sei Nikonista e perché? Che macchina usi?
Da sempre, da quando ho iniziato. Agli esordi ero a digiuno di tecnica, ma mi piaceva molto il profilo estetico delle reflex Nikon. E ritengo che tutt'oggi siano inarrivabili, anche dal punto di vista prettamente fotografico.
Oggi lavoro con il corpo D700, il miglior compromesso fra qualità e compattezza, quindi comodità di trasporto. Ed ho anche una D2X. Come ottiche uso un 14-24mm f/2,8 e un 18-200 mm f/3,5-5,6. Ho anche un 300mm f/2,8 e un 105mm macro f/2,8. Insomma tutte ottiche di nuova generazione. Per le città e l'architettura utilizzo invece il 28mm con capacità di decentramento e basculaggio.
Mi è stato più volte offerto di passare ad altri produttori, promettendomi sconti notevoli, ma non ho mai avuto alcun dubbio e sono rimasto sempre fedele a Nikon.
Franco, dammi tre buoni motivi per convincermi a partecipare al tuo workshop.
1. Insegno cose che in nessuna scuola di fotografia si possono imparare.
2. Credo di essere capace di insegnare, cosa tutt'altro che semplice. Ho imparato a comunicare al meglio quando ero allenatore di pallanuoto. Con la fotografia non cambia tanto.
3. Mi piace stare insieme agli altri e, in particolare, in compagnia di altri fotografi.
Fonte: Nital.it
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